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Il romanzo "L'Aquila e la Spada" (© 2011 Alvaro Gradella) e il suo seguito "Excalibur-La Spada di Macsen" (© 2014 Alvaro Gradella) traggono origine dal racconto "La Terza Aquila", anch'esso scritto da Alvaro Gradella e pubblicato nella raccolta "E' sempre tempo di eroi" (1998), edita da "Il Cerchio-Iniziative Editoriali".
L'autore ne ha sviluppato anche una sceneggiatura cinematografica che è stata selezionata dalla Commissione Ministeriale competente.

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Questi romanzi - che possiamo definire storico/mitologici - e la citata sceneggiatura sono la naturale evoluzione del racconto, e ne mantengono i punti cardine: Roma e la Britannia, la nascita del mito di Artù e della sua spada Excalibur, ma primo fra tutti, il protagonista, il Comes Britanniarum Magno Clemente Massimo.
E’ bene sottolineare che il Generale romano Magno Massimo è realmente esistito, così come la maggior parte dei contemporanei che leggeremo fargli da contorno nella trama: gli Imperatori Graziano e Teodosio, il Vescovo di Mediolanum Ambrogio (futuro Santo e Patrono), il retore Agostino (anch’egli futuro Santo), l’Arcidruido Taliesin... Lo seguiremo, quindi, muoversi in un contesto del tutto congruo al proprio tempo (la fine del IV Secolo d.C.), a quanto gli storici ci riportano di lui, nonché alla situazione politica, militare e dinastica negli Imperi Romani d’Occidente e d’Oriente di allora.

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Ma, Magno Massimo - uno degli ‘usurpatori’ più temuti della storia del tardo Impero (e per questo, non sfuggito ad una spietata damnatio memoriae) - fu prima di tutto l’ultimo Governatore delle Britannie.
Egli governò quelle terre non solo difendendole dalle razzie crudeli dei Pitti e dei Sassoni con la forza militare, come si limitarono a fare i suoi predecessori, ma anche apprendendone e condividendone i riti e le tradizioni, i miti e gli incanti, fino ad arrivare a volerne sposare un Principessa.

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E se la storiografia romana ufficiale dell’e-poca s’affrettò a cancellare ogni traccia di colui che era diventato il più fiero avversario dell’Imperatore Teodosio (detto poi il Grande), al contrario la tradizione orale dei Celti di Britannia lo eleggerà al ruolo di indimenticato protagonista di più di una leggenda. Di lui, di Macsen Wledig, accompagnati dal suono cristallino delle arpe, i bardi avrebbero nostalgicamente cantato nei secoli a venire. Non a caso, infatti, egli è il solo non-nativo che animi uno dei racconti dell’antico “Mabinogion”: l’unica traccia scritta della tradizione mitica britanno-celta. E se la sua figura apparirà fuggevolmente nelle opere di grandi autori moderni di saghe arturiane, quali Mary Stewart e Stephen Lawhead, ben altra importanza gli dava il mitografo inglese del XII Secolo Goffredo di Monmouth, che – nella sua fondamentale “Historia Regum Britanniae” (opera ispiratrice di tutta la Materia di Bretagna e dei Cicli Arturiani) – fa affermare orgogliosamente a Re Artù che Magno Massimo era suo “parente stretto”.

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Ecco perciò che “L’Aquila e la Spada” ed “Excalibur-La Spada di Macsen” danno finalmente voce - come mai prima - a questo straordinario protagonista della storia di Roma e della Britannia, e ce ne faranno conoscere le gesta e le imprese, le contraddizioni ed i tormenti.

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Ma, soprattutto, questi romanzi narreranno di come - anche grazie a lui - il realismo pragmatico e disincantato dei Romani seppe fondersi con lo spiritualismo magico e sognatore dei Celti di Britannia. Leggeremo, perciò, di battaglie ed eroi - certo! - ma anche di druidi e fate dei boschi, di visioni e riti misterici, di sacrifici crudeli e stupefacenti metamorfosi. Persino alcuni antichi Dei - prima di dissolversi sotto i colpi di un arrembante Cristianesimo - appariranno un’ultima volta.

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Insomma, intrecciando Storia scritta, Leggenda tramandata e un po’ di Fantasia dell’autore, in un modo originale e sorprendente che potrà affascinare ogni appassionato di questo genere letterario, e tramite una prosa che non può non riecheggiare toni talvolta epici e manierati, “L’Aquila e la Spada” ed “Excalibur-La Spada di Macsen” metteranno in luce come Roma - alla fine di una dominazione protrattasi per quattro secoli - abbia lasciato in eredità alla Britannia qualcosa delle sue antichissime gloria e nobiltà. Qualcosa da cui - grazie a quella sorta di ‘innesco’ rappresentato dal Comes Magno Clemente Massimo - sarebbe nata, quasi un secolo dopo, la leggenda più grande e amata di tutte, quella del Rex quondam, Rex futurusque, il Re in Eterno: Artù.

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